Roberto Aponte e la poetica delle sue ceramiche mediterranee.

Roberto Aponte e la poetica delle sue ceramiche mediterranee. 

L’artigiano racconta la sua Italia attraverso la materia.  

La ceramica è il materiale più prezioso di cui l’uomo dispone. Conosciamo molto delle antiche civiltà grazie alle ceramiche che ancora oggi popolano i musei archeologici raccontandoci storie, competenze e gesta di intere popolazioni e mi piace immaginare che un giorno, nonostante le centinaia di migliaia di oggetti prodotti ogni giorno, dal futuro qualcuno ricostruirà la nostra storia basandoci sulla produzione di ceramica del nostro tempo. 

In quel caso sarei soddisfatta se, insieme a diversi ceramisti che hanno fatto la storia e che stimo particolarmente e altri che non conosco ma mi piace immaginare vivano in qualche paesino sperduto della Sardegna o della Sicilia, ci sia anche un artigiano della Community di Factory Market e in particolare Roberto Aponte.

Mi piacerebbe molto perché Roberto ha il dono di imprimere nel suo lavoro qualcosa che non si può bene spiegare a parole, ma che si basa principalmente su tre elementi: competenza, utilità ed emozione, mischiate in una proporzione tutta sua, che lo rendono infatti unico.

Certo un oggetto può esistere anche se uno solo di questi elementi viene a mancare, ma quando li troviamo tutti in una ceramica, ecco qui non ci sono parole per descriverla, perché va oltre. Per me la sua ceramica è questo. 

Classe 1988, Roberto Aponte è un artista milanese d’adozione e napoletano di origine che, dopo un percorso formativo alla Facoltà di Design Industriale a Roma, un master in allestimenti presso il Politecnico di Milano e una lunga esperienza negli allestimenti per il retail e set fotografici, nel 2019 incontra la ceramica.

Durante il periodo di lockdown torna in Costiera Amalfitana, a Vietri sul Mare, centro ceramico per la produzione della maiolica, dove trascorre alcuni mesi per approfondire e imparare le varie tecniche da una maestra ceramista. Nel 2020 apre il suo studio, Spazio Martín, insieme alla pittrice Miss Goffetown e all’architetto Francesco Pizzorusso: un luogo aperto ad accogliere il lavoro di altri artisti, ma anche un contenitore di esperienze, dialogo e idee.

Ci racconti  quando e come è nato il tuo amore per la ceramica?

Mia madre ha lavorato per anni presso un laboratorio di ceramica a Napoli ma si occupava di altro e questo sicuramente mi ha messo in contatto diretto col materiale, si è un po’ sedimentato dentro di me perché mi orbitava intorno. Durante l’edizione del 2019 del Salone del Mobile a Milano ho conosciuto Lorenzo Andrei, amministratore della centenaria azienda Ugo Poggi Terrecotte di Impruneta ( Fi ) e, dopo una lunga e appassionata conversazione, ho deciso di andare a fare visita alla fornace.

Insieme ad un amico scultore ho iniziato a lavorare l’argilla in casa e libero da ogni obiettivo ho messo le mani in pasta. Quasi contemporaneamente mi sono dedicato alla ricerca di un luogo dove lavorare e assieme a Francesco Pizzorusso e Fulvia Monguzzi, architetto e pittrice, abbiamo aperto lo Spazio Martín.
Ci siamo ritagliati un piccolo habitat di lavoro ma anche un luogo dove far ribollire le nostre idee, incontrare persone, scambiare pensieri e dialoghi, dove poter mostrare il nostro e il lavoro altrui, liberi da dinamiche da galleria, seguendo solo ciò che ci interessa davvero. Quando ci è piombata la pandemia addosso ci siamo dovuti fermare e ho colto l’occasione irripetibile di tornare a Napoli durante tutta l’estate per potermi finalmente dedicare intensamente allo studio della ceramica.

Grazie al fortunato incontro con Elisa d’Arienzo, maestra ceramista che vive e lavora a Vietri sul Mare, Costiera Amalfitana, ho intrapreso il viaggio che continuo a percorrere con l’idea di avere un mio laboratorio in futuro.

Quando abbiamo scoperto il tuo progetto ci siamo innamorate delle forme “ malfatte” dei tuoi oggetti, che in verità si basano su uno studio ben preciso delle forme e dei volumi, valorizzati dalla scelta precisa delle palette. Come spiegheresti a parole la poetica del tuo lavoro?

Il mio lavoro è innanzitutto terapeutico verso me stesso, mi ha insegnato a gestire alcuni aspetti del mio carattere e sopratutto mi ha obbligato a rispettare i tempi fisiologici della natura, affidarmi all’errore come momento di comprensione e, al processo stesso,  fatto di un gran lavoro di fino da una parte e di profonda istintività dall’altra, che i miei lavori precedenti non mi avevano mai permesso di avere.

Nei miei pezzi, secondo me, convivono due aspetti; lo slancio verso la natura organica del materiale e una forte idea di tensione alla bellezza estetica intesa alla maniera classica, quando la bellezza era necessariamente legata alla bontà di contenuto.
Non saprei definire troppo questi aspetti ma sicuramente vivono in simbiosi dentro di me e nei miei oggetti che, spesso, sono asciugati da orpelli grafici e decorativismi. Le forme sono il risultato di questo duplice livello in cui c’è sempre un approccio progettuale fatto di disegni e immagini ma poi si libera tutto in fase di realizzazione. Mi sembra tutta una metafora della vita. 


Qual è al momento la tua più grande fonte di ispirazione o l’artista/ artigiano che stimi maggiormente?

Le sei statue dei “Prigioni” scolpite da Michelangelo.

Cosa significa essere un artigiano in Italia oggi? 

Per me ha un valore immenso poter far parte di questa categoria che, diversamente da altre, ha un rapporto un po’ speciale con le persone, è intimamente legato allo scambio ed è una grande fonte di nutrimento per il pensiero.

Il design, da cui provengo per formazione, può allontanarsi dalle persone e alla fine si vede nei risultati.
Essere un artigiano oggi mi fa sentire legato alla sapienza del fare che ho sempre ricercato, capire i materiali, sapere come si comportano e come trasformarli mi rende felice.
In Italia c’è una stratificazione millenaria che sopravvive e rinasce ciclicamente, come sempre nella storia, non mi meraviglia questo presente primitivo.
Come sappiamo alcuni eventi possono accelerare questi processi e ora siamo in piena fase di attenzione alle cose fatte bene, con valore, che restano e vivono insieme a noi. 

Spazio Martin è un progetto che condividi con altri talentuosi creativi, immagino quindi che il confronto e la collaborazione siano per te dei valori importanti nella tua crescita artistica. Ci racconti  di questo progetto e dei suoi valori?

Lo Spazio Martín nasce per lavorare e sopratutto lavorare insieme, che ha un peso diverso per chi come noi ha bisogno di scambio continuo per sopravvivere.
Nel 2019 ho incontrato Francesco Pizzorusso, architetto di Firenze che lavorava in uno studio a Berlino.
Ci ha unito da subito la stessa urgenza di libertà e di poter costruire qualcosa di nostro e così dopo pochi mesi è rientrato in Italia e abbiamo iniziato a cercare uno spazio a Milano. Durante la ricerca Francesco mi ha presentato Fulvia Monguzzi ( Miss Goffetown ), pittrice milanese, e a quel punto l’equilibrio è diventato naturalmente perfetto. Le nostre diverse competenze, interessi ed esperienze si sono un po’ fuse e il nostro modo di prenderci cura l’uno dell’altro ha reso questo spazio l’estensione delle nostre case. Qui nutriamo le nostre idee e le nostre bocche. 

So che sembra una domanda fuori argomento, ma sono davvero curiosa di sapere se e quale musica ascolti quando lavori

In realtà la musica è fondamentale perché spesso alcune immagini che si proiettano nei miei pensieri provengono da frasi di canzoni. Non solo perché è morto da poco ma da quando ho memoria e facevo i viaggi in macchina con i miei genitori c’era sempre un cd di Franco Battiato che si surriscaldava sul cruscotto, veniva macinato dalle mie orecchie, forse ora dai miei occhi.

Sulla nostra pagina Ig insistiamo nel sostenere che i progetti indipendenti vanno supportati attraverso le nostre scelte di acquisto. Tu sei un piccolo artigiano che ama la bellezza e cerca di diffonderla attraverso gli oggetti, ma come spiegheresti a chi non conosce il mondo artigiano l’importanza di scegliere?

Come in tutti gli altri mondi legati alla creazione, anche nell’artigianato,  c’è tanta improvvisazione.
Questo aspetto è peculiare anche per settori in cui la velocità e l’accesso alle informazioni hanno generato un po’ di confusione su chi sa fare o meno le cose ma probabilmente come nei rapporti umani c’è una selezione naturale tra individui e quindi e’ estremamente importante scegliere in un vasto panorama.

Con questo non intendo dire che ci siano scelte migliori di altre perché sono legate al gusto e l’interpretazione personale che ognuno dà alle cose che vede e percepisce però è importante capire se si hanno gli strumenti per farlo. 




“Per me ha un valore immenso poter far parte di questa categoria che, diversamente da altre, ha un rapporto un po’ speciale con le persone, è intimamente legato allo scambio ed è una grande fonte di nutrimento per il pensiero.”

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